Buyers di abbigliamento, snobbano artigiani, etica e sostenibilità. Lobby orientata solo ai numeri.

Arriva dalla vicina Svizzera, una bordata della fashion house LucaMartini, che accusa i buyers italiani del settore abbigliamento, di un eccesso di superficialità, orientando da troppi anni i loro store verso il marketing e vendite solamente e puramente speculativo.
Di certo non si scopre nulla di nuovo in merito a questa vicenda, basti entrare nei centri commerciali che sono disseminati in tutto il territorio italiano, per avere un'idea del livello di abbigliamento che viene proposto al pubblico, concentrato su un falso minimalismo, formato quasi esclusivamente da una gamma di colori ridotta alle sfumature del nero, grigio e al massimo beige o qualche bluette, rigorosamente scuro. 
Un funerale!
Ma quello che colpisce davvero è la fascia di prezzo al pubblico che oramai, un po' per colpa della crisi precedente, un po' dalla moda del momento, non si scosta quasi mai dalla forbice 69-99 euro.
Quello che ci si chiede è semplice, ma dovrebbe essere una domanda quasi d'obbligo:...se un capo si vende al pubblico a 99 euro, allora quanto costa realizzarlo e soprattutto dove e chi lo ha prodotto, con quali materiali e processi produttivi???
Forse questa è la domanda a cui la maison LucaMartini, vorrebbe una risposta, più che avviare una polemica con le famiglie di rappresentanze di abbigliamento, che tuttavia, sono di fatto una lobby anche a sfavore dei giovani artigiani stilisti emergenti, rispettosi di una produzione etica e sostenibile, ma che vengono totalmente ignorati sia dalle fiere di settore che dai buyers stessi.
"...di fatto è così...è proprio una lobby...se non ne sei parte, non venderanno mai le tue creazioni ne sarai considerato, in quanto sei un produttore di abbigliamento artigianale (non commerciale), adducendo poi che i capi artigianali sono troppo costosi e non sanno come venderli...Ma allora per quale motivo vendono i "grandi brand" a cifre spropositate, presentando capi improponibili realizzati magari in Malesia, India o in altri luoghi dove c'è anche sfruttamento minorile...??", e continua Martini, "...l'abbigliamento muove una nazione, definisce gli stili di un cliente, dice chi sei ancora prima di sapere il tuo nome o la tua età...è un segno distintivo ed un diritto trovarlo ove ci sia un cliente interessato...Tutta questa struttura megalitica legata al profitto della filiera post produttiva, deve essere modificata...Voglio dare dei numeri che certamente faranno pensare...Sapete che un capo di lusso venduto alla media di 2500 euro nelle boutique, costa poco meno di 100 euro al produttore industriale? Sapete che le boutique guadagnano su questi capi quasi la metà del prezzo al pubblico se non il 65/70%??...Ecco, questa è la logica che nell'artigianato vero invece non permette simili escamotage commerciali e che arreca fastidio ai buyers/store che non possono lucrare come vorrebbero...Invece, un capo artigianale vero, ha un costo di lavorazione orario e di materiali
ricercati, molto alto, mano d'opera autentica, rispetto per l'etica e la sostenibilità del prodotto e soprattutto grande considerazione del cliente finale...Certo, è un capo costoso (e non permette ai buyers/store lauti banchetti), ma è sartoriale...Non prodotto in serie da ignoti...Indossare abbigliamento artigianale significa avere rispetto del lavoro di un professionista ed anche di se stessi!", conclude il manager, ultimamente inserito tra gli ambasciatori SlowFashionWorld a rappresentare la Svizzera.
Sono centinaia le piccole realtà produttive che arrancano cercando di chiudere al meglio i budget annuali, ma che si trovano spesso di fronte ai paletti di queste lobby che obbligano negozianti e store multi-brand, all'acquisto solo dei loro marchi rappresentati, in nome di una numerologia commerciale, non della qualità, ne tantomeno dell'etica e sostenibilità della produzione. Sapere cosa indossiamo e dove è stato fatto, è un sacrosanto diritto di ogni consumatore, che integra un aumento della qualità e di una richiesta di capi artigianali anche nella fascia mid-cost, più abbordabile da un pubblico con fasce di reddito medio.


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