Fashion bloggers? Influencers? Donnine di carta che distruggono la moda. Gli artigiani alzino la testa!

Strumenti sartoriali non noti alle fashion blogger.
Da un paio d'anni è oramai iniziata una vera e propria guerra ad una presunta "elite" di persone che si sono autodefinite "reginette delle passerelle"..."top influencer"..."guru della moda"...Vogliamo aggiungere altre definizioni?
Certo. 
Una nuova è questa: "donnine di carta", come ha dichiarato lo chief manager della giovane maison svizzera Luca Martini company.
"...per esperienza diretta, quando nacque il nostro progetto Rdress, circa quattro anni fa, avevamo tentato di capire questo emergente mondo delle fashion bloggers...(ancora non social influencers)...e dalle risposte che abbiamo ricevuto in 2 anni di ricerche, siamo giunti alla conclusione che queste "donnine" funzionano solamente a denaro di carta (da qui il titolo "donnine di carta"), a prescindere dal prodotto che si può presentare...Basta pagare e per loro sei sempre al top anche se produci della robaccia....", inizia così la nostra intervista al manager del brand svizzero. 
Non un tuono lontano, bensì un autentico thunderstorm...quasi una portata F5, nella scala dei twister che normalmente devastano alcune zone degli USA.
"...le dirò di più...Abbiamo acquistato dei capi in vendita in uno store cinese, mettendo il nostro marchio, ed inviato a 5 fashion blogger non molto famose, ma con un discreto seguito da circa 800k followers in totale...pensando che avrebbero certamente scoperto che erano abiti da negozio cinese che si trovano uguali pure sul web...Invece no! Risultato? Elogi per l'originalità e le ottime finiture...scambiando volgare poliestere per seta-elastan!...Mi rivolgo alla gente: ma come fate a dare retta a queste millantatrici che si spacciano per grandi esperte di moda...esperte di style...che si riempiono la bocca di paroloni e saltellano tra le fashion week di mezzo mondo, facendosi fregio di indossare questo marchio piuttosto che l'altro, decantandone lodi, ma che di fatto, non sanno di cosa stanno parlando???...", continua il manager.
Ma non è tutto. 
Un abito NeroLuce del progetto Made in Rebibbia
Il racconto ovviamente si dirama in dettagli davvero ridicoli, esperienze di lavoro e visioni idilliache di queste sedicenti esperte, che troppo spesso non sono nemmeno pubbliciste e ovviamente nemmeno giornaliste. 
Qui ci sentiamo di inserire una citazione degna di nota della n.° 1 di Vogue USA che dal 2016, ha dichiarato guerra a queste signorine: "...L’attacco di Vogue.com, dunque, porta quattro firme. Sally Singer, creative digital director, si è rivolta ai diretti interessati senza mezzi termini: “Blogger che cambiate outfit dalla testa ai piedi ogni ora: per favore smettetela. Cercatevi una altro lavoro. State proclamando la morte dello stile”. Nicole Phelps, Vogue Runway director, ha additato anche le aziende: “Non è solo triste per le donne che si pavoneggiano davanti all’obiettivo indossando abiti in prestito. È angosciante vedere così tanti brand collaborare”. Alessandra Codinha, Vogue.com news fashion editor, ha precisato quanto sia ormai poco corretto definirli ‘blogger’ dato che ormai quasi tutti si limitano a farsi fotografare per aggiornare i propri profili social senza scrivere nulla. E ha aggiunto sarcastica: “Cercare stile tra chi viene pagato per essere in prima fila è come andare in uno strip club per innamorarsi”..."
A questo punto ci si chiede con quali competenze, queste ragazze poco più che ventenni, spesso improvvisate e nemmeno in grado di rammendare una calzetta, si permettano di valutare, giudicare e purtroppo anche bocciare il lavoro di molti bravissimi artigiani del settore moda, che comprende abiti ed accessori e che tra Italia, Ticino e Francia, ha sempre contato sulla forza professionale di altissimo livello di tanti artigiani.
"...forse queste donnine di carta, non si rendono conto (o forse se ne fregano), che il loro giudizio può dirottare centinaia di migliaia di persone ad acquistare un capo a scapito di un altro, solo perchè il primo è più prodigo di soldi...ma non per motivi seri...provocando così anche una crisi di quella azienda, che purtroppo (è capitato in molti casi), ha dovuto chiudere...lasciando a casa delle persone...senza stipendio...con famiglie...figli...Ma ci rendiamo conto a chi si da retta in questa era digitale?! E' inaudito ed inaccettabile che il mondo dell'artigianato nella sua delicata complessità, sia devastato da queste figure incompetenti e avide!!...", continua l'intervista Martini, "...la cosa peggiore è che queste figure sono come degli alibratori...che il marchio perda o vinca, comunque loro sono state pagate ed anche bene...guadagni che uno stylist nella migliore delle ipotesi, potrebbe vedere dopo 20 anni di lavoro da 12 ore al giorno in ufficio stile...".
Come fanno i brand a valutare l'effettivo valore del lavoro di queste signorine?
"...ecco bravi...vorrei capirlo anche io...poichè non c'è modo di sapere con le analisi di flusso digitale e di marketing, se le vendite sono dovute alle blogger o ad una campagna concomitante...cosa che normalmente accade in una pianificazione di lancio prodotto..."
Quindi, non c'è modo di sapere se la blogger X ha creato un reale fatturato al brand?
"...No! Non c'è modo...Quindi mi chiedo se i brand hanno così tanti soldi da buttare dalla finestra invece di investire in vera qualità e lavoro certificato, non minorile o dei paesi asiatici...e qui mi fermo...".
Google Analytics
Le blogger non forniscono prove dei loro movimenti sul web?
"...altro bell'argomento...dalla nostra esperienza di test, quando una blogger ci contatta, noi chiediamo le prove di traffico certificate da Google Analytics...Da quel momento in poi, silenzio assoluto...la blogger sparisce e non contatta più il brand...Ma perchè?...Hai enne-mila followers...e non mi sai dare una prova di validità di questi movimenti? Forse li hai comprati ???...", si chiede Martini.
A questo punto si capisce che l'argomento è davvero molto complesso ed in questo mare di complessità, certamente queste figure borderline sguazzano e proliferano, moltiplicando i loro contatti, forse anche in questo momento che state leggendo questo pezzo. 
La tristezza della situazione, tuttavia, deve lasciare il posto alle azioni, come conclude qui Martini: "...noi non siamo contro la forma digitale e l'innovazione, ma non senza regole...queste persone devono essere inquadrate anche a livello fiscale...a livello professionale, dovrebbero avere titoli e comprovata esperienza di settore a tal punto che una commissione apposita possa titolarle di una responsabilità così importante, come è quella anche di decidere la vita e morte di un brand...di un'idea...di uno stile...Ci sono molte brave ragazze che hanno titolo per fare questo lavoro, ma non sono sfacciate a tal punto da osare richieste di decine di migliaia di euro per un articolo o migliaia di euro per vestire un abito per una festa e poi metterlo in armadio, perchè non sei stata pagata abbastanza per portarlo due volte....Ci sono fior di giornaliste e giornalisti che hanno studiato e faticato per scrivere in modo coerente un redazionale su un brand o un articolo di lancio...con riunioni di lavoro che non finiscono mai...ma per il rispetto del lavoro altrui...
Quindi...rispondi a questa domanda cara "donnina di carta"...Ma il tuo stile personale, a questo punto, dov'è?! E mi rivolgo anche ai maestri artigiani del settore a me molto cari...sollevate la testa...solleviamo la testa e pretendiamo che i nostri abiti e accessori siano valutati e valorizzati da gente competente!!", termina il manager.
Una esclamazione conclusiva, che lasciamo a tutti voi, a tutti i consumatori che sono direttamente interessati da questa materia, perchè, che lo vogliamo o meno, come il cibo, anche gli abiti sono necessari...almeno fino a quando questa società non ci permetterà di andare in giro nudi, come nell'Eden. 
Ma questo, non è certo il Paradiso e fino ad ora si vedono solo serpenti.

©MediaCompany, Switzerland


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